mercoledì 26 giugno 2013

Alcune domande ad Alberto Macone

In occasione della nostra nuova collaborazione con Alberto Macone (le cui illustrazioni saranno esposte presso Plurale, in via di San Martino ai Monti 47 fino alla prossima settimana) abbiamo realizzato questa intervista.
Le prime domande sono quelle che poniamo usualmente agli illustratori:

Quale azione quotidiana illustreresti?

La colazione. Trovo che sia un momento particolare, una finestra, un varco ancora aperto tra il sogno e la realtà.

Quale illustratore/albo ha maggiormente segnato la tua infanzia. Lo stesso albo influenza tutt'oggi il tuo lavoro?
Non c’è un illustratore o un albo specifico che riesca ad associare alla mia infanzia.
Tutt’ora conservo un albo di Richard Scarry con le tracce dei miei scarabocchi ma credo che sia sopravvissuto solo per caso alla furia distruttrice mia e dei miei fratelli. Per anni ho letto topolino e per anni mi sono esercitato a disegnarne i personaggi. Diciamo che grazie a questo tipo di letture ho iniziato ad avere familiarità con la matita.


Cosa, secondo te può/deve trasmettere l'illustratore al pubblico infantile e cosa i bambini insegnano agli illustratori?
Tutti i prodotti destinati al pubblico infantile andrebbero studiati con grande attenzione. Attraverso di essi è possibile educare i bambini alla bellezza, all’armonia della forma, al colore.
Credo che i bambini possano insegnare tante cose e non solo agli illustratori: esigono onestà e trasparenza e se si impara ad ascoltarli si impara anche ad esercitare queste virtù.


Sempre più spesso l'albo illustrato si pone come prodotto per l'adulto. Come spiegheresti questa tendenza?

Credo che il potere delle immagini sia fortissimo e che possa sedurre gli adulti esattamente quanto i bambini. Non mi sorprende quindi che molti editori dedichino parte delle loro energie a progetti destinati al pubblico adulto. Quello che invece a volte mi sorprende è che molti albi destinati ai bambini non sembrino affatto pensati per loro.


Alberto Macone, L'attesa è finita, Lattesa, Dicembre, acrilico su cartoncino. © Tutti i diritti riservati.

Poi abbiamo posto ad Alberto alcune domande più specifiche sul suo lavoro (la prima anzi su entrambi i suoi lavori: di biologo e di illustratore):

Dal laboratorio all'appartamento: l'illustrazione come percorso di collegamento, finestra da e tra due mondi del chiuso (la casa) e del piccolissimo (il microscopio)? Quanto questi luoghi influenzano il tuo lavoro e viceversa?
Credo che tra questi due mondi oramai non ci siano più separazioni nette... un po’ come in un loft, in un open space. Nel lavoro di ricerca c’è tanta creatività e nell’illustrazione tanto metodo. Quando disegno però evado sia dal mondo del chiuso che da quello del piccolissimo ed è inevitabile che in questa fuga qualcosa mi resti attaccato addosso, come del fango sulle scarpe.


A proposito... cosa vedi dalla tua finestra? Cosa vorresti vedere? Che cosa, quindi, ti piacerebbe illustrare?
Non vedo nulla. A circa 3 metri da ciascuna delle due finestre del monolocale in cui abito c’è un muro di colore indefinito. E’ un po’ come se la piccola scatola in cui vivo fosse contenuta in un’altra scatola a sua volta contenuta in chissà quante altre. Nessun orizzonte. Forse è per questa ragione che le pareti sono in qualche modo ricorrenti nelle mie illustrazioni... o forse lo sono a causa del mio naturale stereotattismo.
Se invece potessi scegliere di non vedere il muro vorrei poter vedere il mare , allo stesso modo indefinito, diverso in ogni istante nella forma e nel colore. Vederlo ma non disegnarlo, non ne sarei capace.


Nei tuoi lavori l'attesa sembra dilatarsi, il tempo rallentare (L'attesa, L'attesa è finita, Dicembre). Quanto è impostante la lentezza nel tuo lavoro, qual'è il valore della minuziosità dell'esecuzione?
In generale non credo che ci sia un valore intrinseco nella minuziosità dell’esecuzione. Nel mio caso specifico lo è, ma solo perché rispecchia la mia natura, il mio modo di essere. La lentezza ne è l’immediata conseguenza.


Ricorrono nelle tue immagini oggetti trascesi dalla funzione quotidiana e assunti a simboli, spesso ingranditi.
Quale significato ha il quotidiano e quale altro oggetto ti piacerebbe disegnare oltre a quelli ricorrenti?

Il quotidiano è la mia piattaforma di lancio, e la ruotine è il carburante necessario per la fuga . Gli oggetti che disegno spesso sono quelli che mi circondano, quelli di uso quotidiano che rientrano nel mio orizzonte visivo immediato. Gli stessi che, da bambino con una buona dose di fantasia trasformavo in astronavi, automobili, navi e che ancora oggi esercitano lo stesso potere sulla mia immaginazione.
Un oggetto su cui sto meditando da tempo e che mi piacerebbe disegnare è una lampada Jielde.

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